L'Avvenire è Peer-to-Peer

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Michel Bauwens: "L'avvenire è peer-to-peer"
di Alessandro Delfanti e Maresa Lippolis, Manifesto (Chips&Salsa) - 16 maggio 2009

URL = http://ilmanifesto.it


Intro

La collaborazione tra pari esce dalla rete per ricreare la realtà e si impone come nuovo paradigma produttivo. Parola di un filosofo convinto che la partecipazione sta al capitalismo odierno come il welfare a quello del '900. Molti sono alla ricerca di un nuovo paradigma economico e sociale che prenda il sopravvento nel 21mo secolo e superi il capitalismo. Michel Bauwens, filosofo belga, lo ha individuato nel peer to peer (p2p). E non parliamo solo di sistemi per scambiarsi file su internet attraverso protocolli che sfruttano risorse condivise, ma di un modo di produzione non gerarchico, decentrato, da pari a pari, che esca dalla rete e contamini tutta la società, come negli esempi proposti in queste pagine. Bauwens, che insegna alla Dhurakij Pundit University di Bangkok, con la P2P Foundation si occupa di raccogliere e sistematizzare tutte le esperienze di cooperazione libera, orizzontale, dal basso, open source. In uno scorso Chips&Salsa lo avevamo definito «evangelista del peer to peer», oggi gli chiediamo di introdurci in questo nuovo paradigma di produzione.


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D: Cosa intendi per p2p?

R: Tutti ormai usano programmi peer to peer di condivisione di file per scaricare video o musica. Ma l'uso che faccio io del termine è più ampio. Fondamentalmente in quei programmi ogni computer del sistema agisce come un pari tra altri pari. Non c'è una macchina centrale da cui scaricare un film. Per me la caratteristica principale dei sistemi p2p è proprio la possibilità che danno agli individui di entrare liberamente in relazione con gli altri e di agire insieme. Possiamo chiamarlo network distribuito e decentrato, in cui il potere è spezzettato e diviso tra tutti. Pensate alla differenza tra un'autostrada costruita da qualcuno tramite una decisione dall'alto, e un sentiero nel bosco, che nasce dal passaggio di diverse persone.


Come funzionano le comunità p2p nel senso allargato in cui le intendi tu?

Le comunità di produzione tra pari sono basate su dinamiche sociali particolari: se sei un programmatore di sofware libero o se scrivi su Wikipedia sei un volontario non pagato, ma sei spinto dalla tua passione e da una forte motivazione. Questo è il sogno delle imprese: lavoratori motivati. Nel mondo p2p gli individui non motivati sono automaticamente esclusi, perché non hanno altri motivi per partecipare, e questo ne fa un ambiente straordinariamente produttivo. E poi nella produzione tra pari c'è un nuovo modo di guardare alle persone, che io chiamo equi-potentiality. Invece di decidere un modo di produzione e poi assumere persone per portarlo a termine, disegno un compito e lo divido in pezzi più piccoli possibili. Poi serve un sistema che permetta alla gente di far coincidere le idee e le capacità, con i compiti da svolgere, proprio come fa Wikipedia. Il meccanismo è basato sull'autoselezione.


Si tratta di un processo così rivoluzionario?

Per me questo è un punto di svolta sociale nella nostra civiltà. Per semplificare lo scambio di informazioni e di beni abbiamo dato vita a società gerarchiche. Oggi le nuove infrastrutture tecnologiche permettono una coordinazione globale di piccoli gruppi. Quindi la novità è che possiamo creare artefatti sociali molto complessi, come Wikipedia o Linux, senza bisogno di un'organizzazione gerarchica in cui qualcuno dica agli altri cosa devono fare: una moltitudine di individui e gruppi si coordinano e controllano il loro lavoro. Credo che in questo ci sia un grande potenziale di liberazione che conduce verso alternative aperte, basate sui beni comuni e sulla partecipazione che sono legate al p2p, in cui le gerarchie sono flessibili e le strutture aperte alla partecipazione.


Quali processi sociali vi stanno alla base?

Parliamo di tre nuovi tipi di processi sociali che ora avvengono non su scala locale ma su scala globale. Il primo è la produzione tra pari, cioè la capacità di produrre valore comune. Il secondo è la governance p2p, cioè la capacità di gestire questi processi senza ricorrere a gerarchie e centralizzazione. Il terzo è la proprietà p2p, cioè la possibilità di proteggere i beni comuni e i prodotti del lavoro comune dall'appropriazione privata. Se chiudo l'accesso a un bene dicendo che è mio e non più tuo distruggo l'intera comunità. Questo non significa che questi beni o informazioni non possano essere usati da un'azienda, per esempio, per mezzo di licenze come quelle che proteggono il software libero. Tutti possono usarlo a patto però che non lo privatizzino e rilascino i loro prodotti nel dominio pubblico.

Non è un orizzonte così semplice da intravedere...

Infatti dobbiamo aprire la nostra immaginazione politica e sociale: siamo abituati a pensare all'alternativa tra stato e mercato. Da una parte privatizzazione e liberismo, dall'altra l'intervento dei governi per salvare le banche, per esempio. La produzione p2p ci invita a guardare a un terzo modo di trovare soluzioni politiche, economiche o sociali che siano organizzate sui gruppi umani.


Secondo te il p2p rimarrà limitato a nicchie di produzione o si espanderà?

La storia del capitalismo è fatta di grandi ondate di crescita basate su tecnologie rivoluzionarie. Ciclicamente, il capitalismo si trova di fronte a una crisi, e da queste crisi il mondo esce cambiato. Credo che ora stiamo andando verso qualcosa di simile: il mondo fondato sul sistema di produzione industriale sta crollando e non sappiamo cosa troveremo al suo posto. Probabilmente però le nuove tecnologie su cui si baserà il sistema futuro saranno il web e le tecnologie dell'informazione; esse stanno già crescendo alle periferie del sistema industriale. Il modello futuro dovrà includere l'apertura alla partecipazione e alla produzione tra pari, proprio come il capitalismo di oggi ha dovuto inglobare le idee socialiste con il welfare e il suffragio universale, per esempio.


Quali sono le misure che proponi per raggiungere quell'orizzonte?

Dobbiamo favorire l'apertura delle infrastrutture, ovviamente. Ma abbiamo bisogno anche di tre tipi di istituzioni: la prima sono i beni comuni, che vanno protetti finanziando l'innovazione sociale, per esempio ricercatori che producono nuovi farmaci e invece di brevettarli li mettono a disposizione di tutti. Poi dobbiamo favorire le pratiche economiche sostenibili: sostegno alle piccole imprese che fanno innovazione sociale, per esempio. Infine è necessario sostenere quell'1% di persone che sono più attive nella produzione p2p. Infatti il 90% circa degli utenti di progetti da pari a pari ne fa un uso passivo, il 10% contribuisce saltuariamente, e l'1% invece è composto da persone che lavorano al progetto a fondo. Questo 1% deve poter sopravvivere senza fare altri lavori. Le città e le regioni che sapranno dar vita a queste tre istituzioni saranno più interessanti per le comunità p2p ma anche per il business: saranno economicamente più forti.


Nessuno, però, ha ancora trovato il modo per difendere i diritti di chi produce contenuti gratuiti per il web...

Per questo dobbiamo accelerare questo processo e favorire le domande sociali che spingono per il peer to peer, l'accesso libero, i beni comuni. Già oggi in fondo assistiamo alla nascita di un welfare dal basso basato su beni comuni e p2p: ci sono comunità che vengono sostenute da aziende per portare avanti progetti collaborativi, per esempio quella del software open source. Ciò però non garantisce i singoli individui: c'è bisogno di un reddito di base per tutti, che permetta di affrontare i periodi di transizione da un lavoro all'altro o quelli in cui si passa dal mercato alla produzione p2p. Dopo la seconda guerra mondiale l'idea di un welfare universale sembrava un'utopia. Eppure l'abbiamo ottenuto. Anche oggi dobbiamo contemplare riforme radicali.